
mercoledì 23 aprile 2014
A volte
Code, lunghissime code di nani da giardino
eppure mi guardo
e ne vivremo ancora, tra fantasie
chiaramente delle finzioni
e brutte e bruttissime se non atroci
tra i corpi soffici
esperienze personali, tra un abbraccio e l'altro
tra cui l'anale vivido e sabbioso
di una divisa usata
di un triste e tristissimo incontro di lavoro.
Eppure sognavo pesche sciroppate
sapendo di amare un altro
zucchero e miele tra le mie labbra inzuppate
buongiorno
di un uomo qualunque, un po' salmastro
di un dolce uomo qualunque dopo un caffè.
Fu così che imbracciai una zappa e un martello
per grazia naturale e brama d'amore
puntellando lamiere di contorno
nella soluzione di volersi bene
zolle di terra per appello
svegliandosi all'improvviso come orfani
a qualsiasi colpo davo un nome.
Un nome una ragione
e ripetersi ogni giorno che tutto è naturale
e per ciascun scintillio di lama una versione
una traduzione della merda che non se ne va.
Ricordandomi quando ero pallido e triste
riempendo di peli la borsa
sotto la festa del patrono, prete mafioso
proprietario
come fendere un bel coltello nel formaggio
e olio di canfora per ribellarsi
tra le mani e i capelli.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento